Onorevoli Colleghi! - I centri storici rappresentano la caratteristica peculiare del nostro Paese, la sua identità culturale e immagine caratterizzante. Nello stesso tempo essi sono una delle maggiori ricchezze, in quanto straordinaria attrattiva del turismo nazionale e internazionale e costituiscono, pertanto, un prezioso e immenso patrimonio storico-artistico.
      Alla eccezionale valenza culturale delle città storiche, con le loro aree centrali e i sistemi urbani di interesse storico-artistico (centri, quartieri e siti), non corrisponde ancora una normativa adeguata che vada oltre gli aspetti urbanistici e di mera conservazione passiva.
      Da ciò l'esigenza di una specifica legge che, ferma restando la disciplina urbanistica in vigore, regoli la conservazione delle città storiche, ma, soprattutto, le attività di recupero e di valorizzazione che ormai si rendono necessarie.
      La presente proposta di legge opera una scelta di fondamentale importanza dal punto di vista culturale: ricomprende i centri storici nel novero di quei beni sottoposti alle disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al

 

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decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e appronta un agile strumento operativo per assicurare, nell'immediato, una efficace tutela per la conservazione dei suoi valori, capace anche di coniugarsi con una adeguata valorizzazione.
      Si potrà in tale modo operare un cambiamento radicale nella gestione del patrimonio culturale nelle città storiche, abbandonando definitivamente la rigidità selettiva o pervasiva di una tutela passiva spesso stimolata unicamente dall'emergenza e dall'intervento straordinario; una prassi divenuta negli ultimi decenni costante dell'attività amministrativa e legislativa.
      Si intende così passare a una politica di prevenzione, di manutenzione e di progettualità, con il duplice vantaggio di evitare che i beni soggetti a vincolo e, pertanto, resi indisponibili alle dinamiche vive della fruizione e del mercato, versino in condizioni di abbandono, incorrendo in un degrado che può anche raggiungere carattere di irreversibilità, aumentando la necessità di finanziamenti pubblici per il restauro destinati a risultare sempre inferiori alle enormi necessità.
      La proposta di legge si prefigge, inoltre, di armonizzare e raccordare l'opera delle soprintendenze statali con le prerogative dei comuni, in accordo con quanto stabilito dalla ripartizione di funzioni e di compiti definita dal titolo V della parte seconda della Costituzione.
      Le norme vigenti si muovono, nel loro complesso, in un'ottica urbanistica e vincolistica, mentre le disposizioni proposte vogliono affrontare i nodi di una tutela capace di integrarsi con la valorizzazione del patrimonio storico urbano, esaltandone il valore storico-artistico e ambientale. L'avvio di una politica di sviluppo urbano e territoriale che non si inceppi di fronte ai delicati problemi di intervento conservativo, connessi con la qualità storico-ambientale, e con le esigenze di gestione dei comuni, presuppone anzitutto una più stretta e organica collaborazione tra gli organi pubblici preposti alla tutela del patrimonio culturale e i responsabili degli aspetti urbanistici.
      Da un punto di vista normativo, non esiste una definizione di «centro storico»: categoria, del resto, revocata in dubbio anche dalla elaborazione scientifica del settore. D'altra parte una delimitazione statica del patrimonio storico urbano non sarebbe adeguata all'evoluzione del tessuto edilizio e sociale della città. In generale, si possono ricomprendere nelle aree storiche non soltanto le zone centrali consolidate di interesse storico-artistico, ma anche i loro nuclei edilizi e sistemi urbani che sono caratterizzati architettonicamente e di particolare pregio ambientale.
      È utile ricordare come già la cosiddetta «Commissione Franceschini» (di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, istituita con la legge 26 aprile 1964, n. 310) nella XL dichiarazione della relazione finale - che si occupa dei centri storici urbani, grandi e piccoli, interi o frammentari, completamente o parzialmente conservati nella loro originaria struttura - ha formulato la seguente definizione: «Sono da considerare centri storici urbani quelle strutture insediative urbane che costituiscono unità culturale o la parte originaria e autentica di insediamenti e testimoniano i caratteri di una viva cultura urbana». Oggi, un più maturo approccio, capace di assumere con maggiore consapevolezza le dinamiche dei processi trasformativi urbani, tende ad abbandonare una visione statica del centro storico, inteso come area delimitabile e isolabile nel contesto urbano, per riconoscere nella città storica una dislocazione più articolata dei valori culturali e ambientali, i quali si addensano, per lo più, nelle aree centrali ma si sviluppano anche verso la periferia secondo concatenazioni sistematiche che ricalcano, generalmente, una struttura urbana storica risalente al più lontano passato.
      In Italia l'esigenza di assicurare una adeguata ed efficace tutela delle città storiche fu particolarmente avvertita nell'immediato dopoguerra, prima con gli interventi di ricostruzione del tessuto edilizio distrutto dagli eventi bellici e, successivamente,
 

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con l'attività edilizia alimentata dalla ripresa economica.
      Tale difesa del patrimonio storico urbano dal degrado, dovuto all'azione sconsiderata dello sfruttamento fondiario ed edilizio, ha avuto un pioniere e una guida ideologica, già negli anni cinquanta, in Antonio Cederna.
      Le istituzioni pubbliche non rimasero, per parte loro, totalmente insensibili al problema e, nel 1956, venne nominata una Commissione parlamentare mista per la tutela del patrimonio artistico e culturale, che elaborò un piano di lavoro nel quale si prevedeva il censimento del patrimonio e l'individuazione di strumenti di tutela per fornire al Parlamento una esauriente documentazione, onde predisporre i provvedimenti necessari.
      L'affermarsi di questa nuova coscienza per la tutela e la conservazione del patrimonio artistico e culturale portò, in occasione del Convegno sulla salvaguardia e il risanamento dei centri storici, tenutosi a Gubbio il 19 settembre 1960, ad affermare la coincidenza del concetto di monumento con l'intera città storica.
      In buona sostanza emerse, ormai con forza, come la cultura moderna avesse esteso il concetto di tutela del singolo monumento a tutto il patrimonio storico urbano e avesse imposto, quindi, di considerare di esso, come qualità essenziale e determinante, proprio il carattere d'insieme, sia nella sua unità complessiva che nella stratificazione delle tracce e delle memorie storiche determinanti la continua e composita configurazione edilizia e naturale.
      Monumento da rispettare e da salvaguardare è, quindi, non solo il bene individuo, ma tutta la città storica, tutto l'insieme della sua struttura urbana, quale si è venuta lentamente componendo nei secoli. Ha assunto una importanza sempre maggiore il valore del «contesto», del valore che un oggetto, un immobile assume non tanto di per sé, quanto per la cornice nella quale è inserito.
      La Carta di Gubbio del 1960 formulò i princìpi per la salvaguardia e il risanamento dei centri storici, tra i quali sono da evidenziare in modo particolare quelli tesi ad esaltare la natura di bene culturale dell'intero centro storico, quartiere o sito di interesse storico-artistico e cioè:

              1) la disposizione di un vincolo di salvaguardia, in attesa dell'adozione dei relativi piani di risanamento conservativo;

              2) l'adozione da parte dei comuni dei piani particolareggiati soggetti a un efficace controllo, con una snella procedura di approvazione e di attuazione;

              3) le modalità e la gradualità degli interventi da attuare per comparti, ciascuno dei quali rappresenti una entità di insediamento e di intervento;

              4) il rifiuto del criterio del ripristino e delle aggiunte stilistiche, del rifacimento mimetico, della demolizione di edifici, di ogni diradamento e isolamento di edifici monumentali.

      Oggi riconosciamo il valore decisivo di quelle formulazioni, non senza avere piena consapevolezza del limite teorico insito nel concetto di un «centro storico» inteso in termini di zonizzazione urbanistica, come comparto topograficamente limitato ad un'area centrale e come contesto urbano «diverso» dal resto della città, assoggettabile a normative puramente difensive e vincolistiche.
      La legislazione fondamentale in materia di tutela di centri storici è costituita dai due complessi normativi del 1939. La legge 1o giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni, era diretta alla tutela delle cose di interesse storico e artistico attraverso i vincoli per le destinazioni d'uso e le autorizzazioni per realizzare modificazioni, restauri, rimozioni, demolizioni. La legge 29 giugno 1939, n. 1497, pur riguardando la tutela delle bellezze naturali, prevedeva vincoli paesaggistici che erano estesi a complessi di cose immobili che componevano un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale.
      Se si prescinde da queste norme (attualmente in gran parte confluite nel citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004), il problema della conservazione

 

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degli edifici esistenti - e quindi della conservazione del patrimonio storico urbano - non ha trovato una disciplina differenziata rispetto agli interventi normativi in materia edilizia.
      Nella legislazione che interessa il patrimonio storico urbano e quindi le città storiche nel loro complesso, assume, allora, particolare importanza la disposizione della legge 6 agosto 1967, n. 765, (cosiddetta «legge ponte»), recante modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, che attribuiva al Ministro dei lavori pubblici la possibilità di delimitare, con proprio decreto, le zone territoriali omogenee all'interno del territorio comunale. In applicazione di questa disposizione è stato emanato il decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, che, occupandosi di disciplinare gli standard da rispettare al momento della formazione dei nuovi strumenti urbanistici, prende esplicitamente in considerazione, all'articolo 2, classificandole come zone omogenee di tipo A), le parti di territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi (comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi).
      Per la prima volta viene, così, riconosciuta in sede legislativa la possibilità di intervenire attivamente nei centri storici, conferendo ai pubblici poteri la facoltà di incidere sulla disponibilità e sulla utilizzazione degli immobili in essi compresi.
      Successivamente la legge 5 agosto 1978, n. 457, ha disciplinato il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente. Lo strumento individuato (per il recupero delle aree degradate) è il piano di recupero che, pur avendo una impostazione squisitamente urbanistica, non ha prodotto, per quanto concerne i centri storici, gli effetti sperati. È, infatti, mancato il coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati destinatari del recupero e della valorizzazione del valore culturale espresso dai centri storici medesimi.
      Alla richiamata normativa generale hanno fatto seguito numerose leggi speciali, volte al recupero dei centri storici di singole città e dettate dall'esigenza di intervenire di volta in volta per risolvere particolari problemi. Soluzione, questa, che ha costituito, fino ad oggi, il principale modello di intervento in tema di patrimonio storico urbano.
      In Parlamento, nel corso degli anni, sono state presentate numerose proposte e disegni di legge di iniziativa parlamentare; si tratta di atti che, nella quasi totalità, riguardano interventi su singole città. Soltanto alcuni presentano una valenza generale intesa al recupero del patrimonio storico urbano delle città denominate «d'arte».
      Si pone intanto una questione relativa alla definizione di centro storico. Una definizione è quella che vuole soddisfatti i seguenti requisiti: la presenza di beni e di attività culturali di rilevante importanza, la conservazione delle caratteristiche storiche delle città, l'esistenza di consistenti flussi turistici e una popolazione non inferiore a 50 mila abitanti.
      Può essere utile, in questa sede, rimarcare come la definizione del concetto di città d'arte non sia stata ancora stabilita dal legislatore, mentre nel linguaggio corrente si tende ad identificare le città d'arte con i centri storici ricchi di tesori artistici e, perciò, dotati di rilevanti attrattive turistiche.
      Una tale definizione, però, non può essere accolta perché non appare utile ai fini della conservazione e della valorizzazione dei centri storici e, inoltre, rischierebbe di provocare una discriminazione inaccettabile per quelle città che, pur essendo di grande interesse storico-artistico, non raggiungono il numero di abitanti astrattamente determinato.
      Tale classificazione, infatti, se da una parte verrebbe a includere alcune delle cosiddette «aree metropolitane», dall'altra però escluderebbe centinaia, forse migliaia, di piccoli centri storici di eccezionale valore storico-artistico e ambientale. Si ritiene, quindi, più corretto parlare di
 

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città storiche, la cui definizione trova, invece, riscontro nella dottrina del settore.
      La speciale Commissione per le città storiche del Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali, incaricata di approfondire i problemi connessi alla tutela delle predette città e di indicare gli strumenti normativi e tecnici più idonei per il recupero, la conservazione e la valorizzazione delle medesime, aveva elaborato la seguente definizione, che può essere adottata come parametro di riferimento: «Città storica è quella che, con la stratificazione dei suoi monumenti e dell'intero tessuto urbano, rispecchia esemplarmente il processo evolutivo storico, antropologico, culturale e artistico di cui è stata protagonista».
      A differenza di progetti di legge analoghi, in questo caso, come si è accennato in precedenza, è stato dato larghissimo spazio, lo spazio che la Costituzione impone, a compiti e funzioni dei comuni. Ad essi è riservata la funzione di individuazione del proprio centro storico e la conseguente perimetrazione. Le soprintendenze statali intervengono solo in caso di inerzia dei comuni e qualora rilevino l'interesse storico o artistico del sito. Ai comuni comunque spetta - in un ambito di programmazione con le regioni e con lo Stato - il compito di promuovere, attuare, programmare e coordinare le attività di conservazione e di valorizzazione dei centri storici.
      Si concretizza quindi il principio secondo il quale allo Stato, e in particolare alle autorità preposte, sono attribuiti compiti di tutela sui centri storici e di definizione delle cosiddette «norme di cornice», mentre ai comuni è riservata ogni funzione relativa alla valorizzazione e alla conservazione dei centri storici, assolvendo così al principio della sussidiarietà e a quello della distribuzione delle competenze.
      Un simile provvedimento diventa poi oggi tanto più utile e urgente: le spinte verso politiche di valorizzazione e di gestione del patrimonio culturale in chiave esclusivamente finanziaria, il progressivo abbassamento del livello di guardia rispetto alla tutela dell'integrità dei centri storici, attraverso provvedimenti che subordinano l'interesse collettivo a quello particolare, la negazione del nuovo ruolo delle regioni e degli enti locali, sono tutti elementi che, in questo particolare ambito, rischiano di determinare lo sgretolamento materiale e simbolico dei nostri centri storici.
      L'articolato affronta i temi della identificazione e della perimetrazione dei centri storici (compiute di intesa tra comuni e soprintendenze competenti), della programmazione annuale dei progetti di recupero e di valorizzazione (di intesa con la soprintendenza competente, il programma è adottato in una apposita conferenza dei servizi) (articolo 1).
      Il Ministero dei beni e delle attività culturali, oltre a destinare una certa percentuale dei propri fondi al concorso per le spese di realizzazione dei programmi annuali (articolo 1), dichiara, tramite la soprintendenza competente, l'eventuale interesse culturale di locali, luoghi di tradizionali attività (articolo 3). Oltre, naturalmente, a sottoporre i centri storici alle disposizioni stabilite dal citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, con l'eccezione del dovere della comunicazione delle alienazioni e del diritto di prelazione (articolo 2).
      Una strettissima collaborazione tra soprintendenze, comuni, province e regioni si stabilisce per la programmazione degli eventi e delle manifestazioni (articolo 4), nonché per la concessione in uso di immobili di interesse storico-artistico (articolo 5).
      I comuni, le province e le regioni, ciascuno secondo le proprie prerogative e i propri ambiti, definiscono i criteri per la razionalizzazione e la ottimizzazione dei flussi turistici sul territorio (articolo 6).
      L'articolo 7 si occupa dell'autorizzazione di spesa per l'attuazione della legge e della relativa copertura finanziaria.
 

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